Philadelphia
Young Gifted School
10.07 PM - 1/01/2024
Il giovane mutante si era appena a buttato pesantemente sul letto della sua stanza alla School, quando lo squillo improvviso del cellulare lo costrinse ad aprire gli occhi di scatto.
Conosceva la persona abbinata a quella suoneria personalizzata: suo fratello.
Senza neanche pensarci, il cellulare finì rapidamente tra le sue mani e dritto all'orecchio.
"Ehy fratellino!" irrupe senza preamboli una voce maschile, bassa e profonda.
"Michael..."
"Bravo, vedo che non ti sei scordato come mi chiamo." Il ragazzo poteva facilmente immaginarsi il ghigno delle labbra dietro l'altro cellulare "Di chiamarmi, forse sì."
"Sì scusami, è stato un periodo intenso" rispose con un sospiro l'altro, osservando quei muri sconosciuti intorno a sè. "Molto intenso. Come stai?"
"Mh, immagino. Io bene, grazie. Tu invece, di' un po', ti sei divertito alla festa di ieri sera..."
"In effet-"
"...A casa mia?" concluse la voce al telefono, incastrando il giovane mutante con le spalle al muro.
"C-Cosa? Michael ma che stai dicend-"
"Sai Artie..."
"Non chiamarmi Artie."
"...a quanto pare ti sto ospitando da oltre una settimana, senza saperlo. Non lo trovi curioso?"
Il ragazzo spalancò gli occhi azzurri, mentre la voce del fratello si innalzava a pericolosi livelli di sarcasmo. Deglutì a secco il groppo d'ansia che gli aveva attanagliato la gola.
"Michael, ascolta. Per prima cos-"
"Arthur, niente stronzate. Papà ha chiamato qui quindici minuti fa." Il tono del maggiore era lineare, ma la nota di delusione era più che percepibile. "Che diavolo stai combinando?"
"G-gli hai detto c-che non sono lì?"
"Mi credi scemo? Ovviamente gli ho detto che sei venuto in New Jersey per un ritiro studio-spirituale o quel che fate voi studenti universitari quando dovete concentrarvi."
Un pesante sospiro di sollievo esplose tra le labbra del mutante, arrivando a scavare il petto del maggiore.
"Ti ringrazio Michael"
"Seh. Ora però mi dici che diavolo ti sta succedendo e dove sei, altrimenti lo richiamo subito." ribattè con forza e durezza la voce dall'altra parte della linea telefonica.
Gli occhi verdi del minore corsero intorno per la piccola stanza offertagli dalla scuola, fino a posarsi sul Registration Badge ben visibile sulla scrivania. Per un istante valutò l'ipotesi di rivelargli tutto subito. Di essersi scoperto un mutante pochi giorni prima, dell'enorme paura di affrontare il padre e del rifugio sicuro della School.
Per un istante ipotizzò che suo fratello fosse pronto a conoscere la verità. Ad accettare chi era veramente.
"Io..."
Ma prima di suo fratello: lo era lui?
"No."
"... Scusa? Come sarebbe: no?"
"Non ancora, Michael" ribadì il minore, scuotendo la testa, nonostante il fratello non potesse vederlo. "Ti prometto che ti spiegherò tutto, ma ho bisogno ancora di po' di tempo."
"Invece ne parliamo adesso!" esclamò con rabbia la voce all'autoparlante, prima di scivolare in sfumature più preoccupate. "Che succede? Sei finito in qualche guaio per sbaglio?"
"No no, assolutamente no! Sto bene."
"Arthur, non mentirmi"
"Davvero, Michael. Sto bene. Devo risolvere una faccenda, da solo."
"Fratellino, lo sai che odio queste cose, ma... puoi raccontarmi tutto. Sai che non ti giudicherò. C'entra nostro padre?"
"In parte" rispose il mutante, abbassando lo sguardo verso la punta dei piedi. "Ma principalmente riguarda me."
"Spiegami allora, stronzo che non sei altro! Sto cominciando a preoccuparmi, perché non mi sembra che tu stia bene. Per niente. Forse dovrei richiamare papà..."
"No! Ho solo bisogno di qualche altro giorno in santa pace." Esclamò con forza e un pizzico di terrore nella voce, prima d'implorare il fratello. "Per favore".
Lo stesso silenzio pregno di tensione si espanse in due stanze diverse, lontane centinaia di kilometri. Arthur pregava che il fratello capisse che non poteva affrontare loro padre, non adesso. Michael immaginava in quanti possibili guai poteva essersi cacciato il suo fratellino e se poteva rischiare di rispettare la sua richiesta, almeno per un altro po'.
"D'accordo, d'accordo" accosentì cupamente il maggiore, soffiando forzatamente aria dalle narici. "Lo sai che tra due settimane inizieranno i tuoi esami e questa scusa non reggerà più, vero?"
"Sì, lo so. Lo so."
" Ascolta..." si sentì l'umettare delle labbra, come se l'altro stesse cercando di controllare le sue reazioni. "Se non vuoi dirmi adesso che ti sta succede: va bene, mi fido del tuo giudizio. Per ora."
"Grazie Michael."
"Cioò nonostante pretendo e te lo ripeto - pretendo - che ti faccia sentire tutti i giorni. Voglio esser sicuro che tu stia bene, chiaro?"
"Sì, mi sembra giusto." Acconsentì il più piccolo, mentre un lieve sorriso grato gli si allargava sul viso. Il primo da giorni interi. "Cosa dirai a papà?"
"Oooh, beh di quello non ti preoccupare, Artie." Rispose Michael dall'altro lato, con un tono così divertito che fece tremare le spalle del fratellino, lasciandogli immaginare il ghigno sornione dell'altro. "Sei sempre stato una cazzo di ragazzetta con la salute debole."
"Non è vero! E non mi chiamare Artie"
"Oh sì che lo sei, piccoletto." Lo prese in giro il maggiore, prima di tornare ad assumere un tono più serio "Non fare cazzate e fatti sentire, altrimenti giuro che scovo dove ti sei rintanato e ti rispedisco a casa a calci in culo. Sono stato chiaro?"
"Sì, ragazzone, sì. Ci sentiamo, Michael."
"Lo spero bene per te."
"Stammi bene anche tu...e grazie"
Un mugugnio scocciato e incomprensibile mise fine alla chiamata, lasciando il mutante a rigirarsi il cellulare tra le mani. L'espressione sul viso era ancora pensierosa, ma una piccola nota di contezza gli si era piazzata tra le corde dell'anima.
Non era ancora il momento giusto per accettare se stessi, né per dirlo agli altri sperando che lo facciano al posto suo. Non ancora.
Aveva guadagnato altre due settimane di riflessione per decidere decidere cosa fare di se stesso. Se accettarsi mutante oppure nascondere per tutta la vita chi è veramente.
Incosciamente però sapeva di avere, in un modo o nell'altro, un fratello al proprio fianco.
Il ragazzo spalancò gli occhi azzurri, mentre la voce del fratello si innalzava a pericolosi livelli di sarcasmo. Deglutì a secco il groppo d'ansia che gli aveva attanagliato la gola.
"Michael, ascolta. Per prima cos-"
"Arthur, niente stronzate. Papà ha chiamato qui quindici minuti fa." Il tono del maggiore era lineare, ma la nota di delusione era più che percepibile. "Che diavolo stai combinando?"
"G-gli hai detto c-che non sono lì?"
"Mi credi scemo? Ovviamente gli ho detto che sei venuto in New Jersey per un ritiro studio-spirituale o quel che fate voi studenti universitari quando dovete concentrarvi."
Un pesante sospiro di sollievo esplose tra le labbra del mutante, arrivando a scavare il petto del maggiore.
"Ti ringrazio Michael"
"Seh. Ora però mi dici che diavolo ti sta succedendo e dove sei, altrimenti lo richiamo subito." ribattè con forza e durezza la voce dall'altra parte della linea telefonica.
Gli occhi verdi del minore corsero intorno per la piccola stanza offertagli dalla scuola, fino a posarsi sul Registration Badge ben visibile sulla scrivania. Per un istante valutò l'ipotesi di rivelargli tutto subito. Di essersi scoperto un mutante pochi giorni prima, dell'enorme paura di affrontare il padre e del rifugio sicuro della School.
Per un istante ipotizzò che suo fratello fosse pronto a conoscere la verità. Ad accettare chi era veramente.
"Io..."
Ma prima di suo fratello: lo era lui?
"No."
"... Scusa? Come sarebbe: no?"
"Non ancora, Michael" ribadì il minore, scuotendo la testa, nonostante il fratello non potesse vederlo. "Ti prometto che ti spiegherò tutto, ma ho bisogno ancora di po' di tempo."
"Invece ne parliamo adesso!" esclamò con rabbia la voce all'autoparlante, prima di scivolare in sfumature più preoccupate. "Che succede? Sei finito in qualche guaio per sbaglio?"
"No no, assolutamente no! Sto bene."
"Arthur, non mentirmi"
"Davvero, Michael. Sto bene. Devo risolvere una faccenda, da solo."
"Fratellino, lo sai che odio queste cose, ma... puoi raccontarmi tutto. Sai che non ti giudicherò. C'entra nostro padre?"
"In parte" rispose il mutante, abbassando lo sguardo verso la punta dei piedi. "Ma principalmente riguarda me."
"Spiegami allora, stronzo che non sei altro! Sto cominciando a preoccuparmi, perché non mi sembra che tu stia bene. Per niente. Forse dovrei richiamare papà..."
"No! Ho solo bisogno di qualche altro giorno in santa pace." Esclamò con forza e un pizzico di terrore nella voce, prima d'implorare il fratello. "Per favore".
Lo stesso silenzio pregno di tensione si espanse in due stanze diverse, lontane centinaia di kilometri. Arthur pregava che il fratello capisse che non poteva affrontare loro padre, non adesso. Michael immaginava in quanti possibili guai poteva essersi cacciato il suo fratellino e se poteva rischiare di rispettare la sua richiesta, almeno per un altro po'.
"D'accordo, d'accordo" accosentì cupamente il maggiore, soffiando forzatamente aria dalle narici. "Lo sai che tra due settimane inizieranno i tuoi esami e questa scusa non reggerà più, vero?"
"Sì, lo so. Lo so."
" Ascolta..." si sentì l'umettare delle labbra, come se l'altro stesse cercando di controllare le sue reazioni. "Se non vuoi dirmi adesso che ti sta succede: va bene, mi fido del tuo giudizio. Per ora."
"Grazie Michael."
"Cioò nonostante pretendo e te lo ripeto - pretendo - che ti faccia sentire tutti i giorni. Voglio esser sicuro che tu stia bene, chiaro?"
"Sì, mi sembra giusto." Acconsentì il più piccolo, mentre un lieve sorriso grato gli si allargava sul viso. Il primo da giorni interi. "Cosa dirai a papà?"
"Oooh, beh di quello non ti preoccupare, Artie." Rispose Michael dall'altro lato, con un tono così divertito che fece tremare le spalle del fratellino, lasciandogli immaginare il ghigno sornione dell'altro. "Sei sempre stato una cazzo di ragazzetta con la salute debole."
"Non è vero! E non mi chiamare Artie"
"Oh sì che lo sei, piccoletto." Lo prese in giro il maggiore, prima di tornare ad assumere un tono più serio "Non fare cazzate e fatti sentire, altrimenti giuro che scovo dove ti sei rintanato e ti rispedisco a casa a calci in culo. Sono stato chiaro?"
"Sì, ragazzone, sì. Ci sentiamo, Michael."
"Lo spero bene per te."
"Stammi bene anche tu...e grazie"
Un mugugnio scocciato e incomprensibile mise fine alla chiamata, lasciando il mutante a rigirarsi il cellulare tra le mani. L'espressione sul viso era ancora pensierosa, ma una piccola nota di contezza gli si era piazzata tra le corde dell'anima.
Non era ancora il momento giusto per accettare se stessi, né per dirlo agli altri sperando che lo facciano al posto suo. Non ancora.
Aveva guadagnato altre due settimane di riflessione per decidere decidere cosa fare di se stesso. Se accettarsi mutante oppure nascondere per tutta la vita chi è veramente.
Incosciamente però sapeva di avere, in un modo o nell'altro, un fratello al proprio fianco.
Arthur & Michael Blake |