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martedì 19 gennaio 2016

The truth is never easy


Philadelphia
 Blake apartment
7.54 AM - 19/01/2024


Il rumore della chiave che gira all'interno della toppa della porta di casa sua è incofondibile, specialmente quando sono due ore che il giovane mutante non fa altro che ricercarlo con l'udito.
Durante la notte ha riempito il suo zaino da viaggio con tutto ciò che non avrebbe mai potuto lasciare a casa: una buona dose di vestiti, i libri unversitari e pochi altri oggetti personali. Il medaglione portafoto appartenuto prima a sua madre e poi a suo fratello è stato appeso al collo e nascosto sotto il maglione. Qualsiasi cosa possa succedere, non lo lascerà mai indietro.

"Arthur."

Il tono di suo padre è monocorde, quasi annoiato, non appena lo vede seduto sul divano del salotto. Il telecineta si morde la guancia interna mentre un sospiro più pesante gli si arpiona al petto. Non vede suo padre da tre settimane eppure lui non sembra essere troppo entusiasta di vederlo. O meglio, sembra come se non gliene importasse poi più di tanto. Come se lo avesse visto solo ieri.

"Ciao papà."

L'alzarsi dal divano in un saluto quasi militare è così naturale e istintivo che neanche deve rifletterci per eseguirlo. Suo padre lo squadra da cima a fondo in uno sguardo indagatore e severo, facendolo rabbrividire come se qualcuno gli avesse gettato dell'acqua gelida addosso. 

"Michael non mi aveva avvisato che saresti tornato oggi dalla tua...scampagnata."  La voce dell'uomo raschia sul palato, pregna di una chiara indignazione mal celata. "Comunque, hai diverso carico di studio da recuperare e..."

"Papà, aspetta un attimo.Ti devo parl-"

"Non ti azzardare ad interrompermi, Arthur!" Esclama in uno scatto contrariato l'uomo, prima di scuotere la testa. "Cos'è? In queste poche settimane da tuo fratello ti sei scordato la buona educazione? Allora ti stavo dicendo..."

Non c'è possibilità di scappare dal fiume di parole che suo padre continua a buttare fuori dalla bocca neanche fossero scontrini del supermercato. L'università, il recupero dei crediti, la cameriera sostituita e altre amenità quotidinane.  Il tono duro e l'occhiata gelida gli hanno tolto quasi tutto il coraggio che aveva cercato di accumulare in previsione dell'incontro.

Sente di star perdendo quella lotta ancora prima d'iniziarla e man mano che suo padre parla del più e del meno, lui si sente sprofondare sempre più in basso in un vortice di disperazione.
Aveva ragione Michael: non può dirglielo.
Si convince di non avere abbastanza carattere per affrontare veramente suo padre, di essere troppo debole per sopportare il suo rifiuto. Almeno finché suo padre non comincia a inveire animatamente contro quei:

"...Maledetti mutanti degeneri! Hai visto cosa è successo? Il governo dovrebbe rinchiuderli tutti e farne fuori il più possibile. Non sono altro che un cancro de-"

"BASTA! "SONO UN MUTANTE ANCHE IO!" 

Esplode all'improvviso il giovane telecineta, mentre un paio di lacrime cominciano già a pizzicargli il retro degli occhi. Sa che suo padre non sopporta essere contradetto e lui lo ha appena fatto sull'argomento più importante della sua vita. 
Ne osserva l'espressione basita allargarsi come una macchia d'olio sul viso segnato dall'età e della severità del padre, prima che gli occhi -così simili ai suoi- vengano invasi da un'alone di pura rabbia.

"C-cosa?"

"S-sono un m-mutante papà, è di q-questo che cercavo di p-parlarti." Rivela verso di lui, abbassando il tono di voce. Comincia quindi a parlare tutto d'un fiato perché sa che se si ferma adesso, non avrà più il coraggio di dire niente.

"Non l'ho voluto io, è solo successo. A Natale ho spostato senza toccarlo il portapenne in cameria e un piccola spilla.
Ti giuro che non l'ho fatto apposta e non ti ho detto niente perché volevo prima capire se era vero... Ma lo è purtroppo e quindi mi sono registrato e sono andato a scuola perché voglio controllarmi, creare problemi a nessuno e credo nel nostro Stato e nella nostra legge.
Non cambierà tanto, te lo posso promettere. Adesso posso controllarmi e..."


"Fammi vedere."  

Il tono di voce di suo padre è greve e basso, mentre gli occhi azzurri bollono di rabbia mal repressa e di una delusione cocente. Ciò che è peggio, sembra non aver ascoltato neanche una parole di tutto ciò che gli ha detto poco prima suo figlio. Niente di niente. Ad Benjamin Blake non sono mai piaciute le giustificazioni.

"Papà, ti prego... prima ascoltami. Voglio spiegar-" implora il ragazzo, con una morsa che gli trancia via l'aria dai polmoni.

"TI HO DETTO DI FARMI VEDERE!"

Le mani di suo padre gli si piantano con forza all'altezza del bavero del maglione, strattonandolo fino ad avanzare di un passo intero. Sono a pochi centimetri di distanza e il telecineta può percepire l'odio guizzante sotto i muscoli ancora allenati di suo padre, così come il rifiuto che già gli legge infondo agli occhi.
Singhiozza una volta sola, strozzando il singulto a metà, prima di concentrarsi sul piccolo fermacarte appoggiato sul tavolinetto affianco a loro, il quale volteggia in aria per qualche istante prima di riappoggiarsi sul legno.

Per un paio d'istanti il silenzio opprime ogni singolo respiro dei due Blake, lasciandoli in un momento sospeso nel tempo. Forse entrambi smettono di respirare e perdono un battito. Suo padre alza la mano destra, tremante, verso la sua guancia e per un attimo il telecineta spera in una carezza arrabbiata ma paterna.
Quello che gli arriva, invece, è un man rovescio spinto con tutta la forza e la rabbia di un uomo che ha appena visto suo figlio trasformarsi nella cosa che odia di più al mondo. Ciò che gli ha portato via suo fratello e forse anche sua moglie.
E il ragazzo chiude gli occhi, scegliendo di non reagire contro colui che è sempre - e comunque- suo padre.


CRACK

Il grande specchio della sala dove è andato a sbattere il giovane mutante, si rompe in un suono sordo e stridulo, fracassandosi in mille pezzi proprio come l'anima del ragazzo. 
Alcune schegge di vetro gli colpiscono le mani che aveva portato a protezione, mentre altre gli tagliano parte del viso, lasciando scivolare dei rivoli di sangue lungo il mento e il maglione.
Suo padre non perde tempo e lo costringe a rialzarsi in piedi, prima di spingerlo con rabbia verso la porta.

"Vattene di qui e non ti azzardare a farti rivedere mai più. Non voglio sapere più niente di te! Mai più!"


"Papà, per favore..."

"Hai smesso di essere mio figlio da quando sei diventato uno di Loro! Fuori da casa mia, razza di mostro!"


"Per favore..."

"ADESSO!"

In pochi secondi il telecineta ha recuperato il suo zaino, si è catapultato fuori da casa e ha corso giù per la tromba delle scale, lasciandosi alle spalle solo una scia di piccole macchioline di sangue mischiata a lacrime amare.




venerdì 15 gennaio 2016

Ho smesso di aver paura

Philadelphia
General Hospital
06.04 AM - 13/01/2024


Il Sole non si è ancora infiltrato tra gli oscuranti della stanza, ma lui è già sveglio da una buona mezz'ora. Haze gli ha sequestrato i tranquillanti due giorni prima e, nonostante abbia bevuto perfino una camomilla doppia, non è riuscito a chiudere occhio per più di un'ora consecutiva.
Sa che dovrebbe essere spaventato dal fatto che il suo potere lo abbia spedito in ospedale con un braccio ustionato, eppure il petto vibrante di vita di Helyn gliela dissipa via come vapore. Lui, Marcus e Maya le hanno salvato la vita.
Lui le ha salvato la vita utilizzando il suo potere senza esitare neanche per un istante. Odia usarlo anche solo per sollevare una penna eppure ha scaraventato una pila di sedie contro un supercriminale. E non ne è pentito.

Il cellulare raggiunge la sua mano sinistra e ancora prima che lui se ne renda veramente conto, sta scrivendo un messaggio a suo fratello. 

Scusami se non mi sono fatto sentire in questi giorni, ma ho avuto alcuni... problemi. Sappi che ho intenzione di parlare a papà della mia mutazione quanto prima.
Penso che sia giusto che lo sappia anche lui e lo sappia da me, anche se non gli piacerà.


Il pollice è sospeso sopra il bottone per l'invio, mentre le parole di Matt gli ritornano in mente. Non può nascondersi per sempre. Né da se stesso né da nessun'altro.
Il telefono vibra quasi istantaneamente, rivelando la risposta del maggiore. In breve tempo entrambi i fratelli sono incollati alla chat.


Non fare stupidaggini, Arthur! Non ti perdonerebbe mai.

Devo provarci.

Impara piuttosto a controllare questi tuoi poteri e vieni a vivere qui da me.

Michael, non posso.

Non ti preoccupare per l'università. Mi sono informato e ce ne è una buona a meno un'ora di macchina.

Non è per l'università, lo sai.

Nessuno saprà che sei un mutante e in più è molto più tranquillo di Phildelphia.

Ci siamo nati a Philadelphia. Quando mai è stato un problema?

Prima o poi scoppierà una guerra civile tra i mutanti e persone normali. Qui sarai al sicuro.


Un grumo d'ansia si attorciglia dentro lo stomaco del giovane telecineta, forse riconoscendo una traccia di verità nelle preoccupazioni del fratello. Forse dovrebbe davvero andarsene.
Aveva già ipotizzato questo scenario con Marcus, discutendo di come la Young Gifted School abbia proprio il compito di opporsi alle visioni estreme. Di dimostare come tutto ciò sia sbagliato e di come ci sia un'altra via contro l'odio.
Ripensa a come sia stato proprio lui a convincere la piccola Amy che non c'è niente di cui aver paura, perché bisogna solo insegnare alle persone a non temere ciò che non conoscono. È la paura che conduce dritta all'odio, senza passare da via. Così come è stato sempre lui, la scorsa sera, a raccontare ad Maximilian come sia giusto Registrarsi perché non devono vergognarsi -né temere- nulla.


È vero, potrebbe andarsene e rimanere al sicuro. Dovrebbe vivere una vita normale con suo fratello, senza che nessuno lo possa accusare di nulla.
Non è un combattente e l'ustione lo dimostra. Oggi è solo un braccio, domani potrebbe essere su tutto il corpo o potrebbe essere direttamente morto.
E tutto per cosa? Per aiutare una società che magari un giorno gli si rivolterà contro, decidendo che tutti i mutanti sono troppo sbagliati e pericolosi per rimanere in circolazione? 
Oppure potrebbe tentare di fare la differenza, di essere un buon esempio, partendo proprio da suo padre.
Digita la sua risposta sulla testiera con una lentezza estrema e un senso di liberazione nel petto.

Ho smesso di avere paura, Michael.


  

domenica 3 gennaio 2016

A brother is always by your side

Philadelphia
Young Gifted School
10.07 PM - 1/01/2024


Il giovane mutante si era appena a buttato pesantemente sul letto della sua stanza alla School, quando lo squillo improvviso del cellulare lo costrinse ad aprire gli occhi di scatto.
Conosceva la persona abbinata a quella suoneria personalizzata: suo fratello.
Senza neanche pensarci, il cellulare finì rapidamente tra le sue mani e dritto all'orecchio.

"Ehy fratellino!"  irrupe senza preamboli una voce maschile, bassa e profonda.
"Michael..."
"Bravo, vedo che non ti sei scordato come mi chiamo."  Il ragazzo poteva facilmente immaginarsi il ghigno delle labbra dietro l'altro cellulare "Di chiamarmi, forse sì."
"Sì scusami, è stato un periodo intenso"  rispose con un sospiro l'altro, osservando quei muri sconosciuti intorno a sè. "Molto intenso. Come stai?"
"Mh, immagino. Io bene, grazie. Tu invece, di' un po', ti sei divertito alla festa di ieri sera..." 
"In effet-"
"...A casa mia?"  concluse la voce al telefono, incastrando il giovane mutante con le spalle al muro.
"C-Cosa? Michael ma che stai dicend-"
"Sai Artie..."
"Non chiamarmi Artie."
"...a quanto pare ti sto ospitando da oltre una settimana, senza saperlo. Non lo trovi curioso?" 
Il ragazzo spalancò gli occhi azzurri, mentre la voce del fratello si innalzava a pericolosi livelli di sarcasmo. Deglutì a secco il groppo d'ansia che gli aveva attanagliato la gola.
"Michael, ascolta. Per prima cos-"
"Arthur, niente stronzate. Papà ha chiamato qui quindici minuti fa."  Il tono del maggiore era lineare, ma la nota di delusione era più che percepibile. "Che diavolo stai combinando?"
"G-gli hai detto c-che non sono lì?"
"Mi credi scemo? Ovviamente gli ho detto che sei venuto in New Jersey per un ritiro studio-spirituale o quel che fate voi studenti universitari quando dovete concentrarvi." 
Un pesante sospiro di sollievo esplose tra le labbra del mutante, arrivando a scavare il petto del maggiore. 
"Ti ringrazio Michael"
"Seh. Ora però mi dici che diavolo ti sta succedendo e dove sei, altrimenti lo richiamo subito." 
ribattè con forza e durezza la voce dall'altra parte della linea telefonica.


Gli occhi verdi del minore corsero intorno per la piccola stanza offertagli dalla scuola, fino a posarsi sul Registration Badge ben visibile sulla scrivania. Per un istante valutò l'ipotesi di rivelargli tutto subito. Di essersi scoperto un mutante pochi giorni prima, dell'enorme paura di affrontare il padre e del rifugio sicuro della School.
Per un istante ipotizzò che suo fratello fosse pronto a conoscere la verità. Ad accettare chi era veramente.
"Io..."
Ma prima di suo fratello: lo era lui? 
"No."
"... Scusa? Come sarebbe: no?"
"Non ancora, Michael"  ribadì il minore, scuotendo la testa, nonostante il fratello non potesse vederlo. "Ti prometto che ti spiegherò tutto, ma ho bisogno ancora di po' di tempo."
"Invece ne parliamo adesso!"  esclamò con rabbia la voce all'autoparlante, prima di scivolare in sfumature più preoccupate. "Che succede? Sei finito in qualche guaio per sbaglio?" 
"No no, assolutamente no! Sto bene."
"Arthur, non mentirmi"
"Davvero, Michael. Sto bene. Devo risolvere una faccenda, da solo."
"Fratellino, lo sai che odio queste cose, ma... puoi raccontarmi tutto. Sai che non ti giudicherò. C'entra nostro padre?"
"In parte"  rispose il mutante, abbassando lo sguardo verso la punta dei piedi. "Ma principalmente riguarda me."
"Spiegami allora, stronzo che non sei altro! Sto cominciando a preoccuparmi, perché non mi sembra che tu stia bene. Per niente. Forse dovrei richiamare papà..."
"No! Ho solo bisogno di qualche altro giorno in santa pace."  Esclamò con forza e un pizzico di terrore nella voce, prima d'implorare il fratello. "Per favore".

Lo stesso silenzio pregno di tensione si espanse in due stanze diverse, lontane centinaia di kilometri. Arthur pregava che il fratello capisse che non poteva affrontare loro padre, non adesso. Michael immaginava in quanti possibili guai poteva essersi cacciato il suo fratellino e se poteva rischiare di rispettare la sua richiesta, almeno per un altro po'.
"D'accordo, d'accordo"  accosentì cupamente il maggiore, soffiando forzatamente aria dalle narici. "Lo sai che tra due settimane inizieranno i tuoi esami e questa scusa non reggerà più, vero?"
"Sì, lo so. Lo so."
" Ascolta..."  si sentì l'umettare delle labbra, come se l'altro stesse cercando di controllare le sue reazioni. "Se non vuoi dirmi adesso che ti sta succede: va bene, mi fido del tuo giudizio. Per ora."
"Grazie Michael."
"Cioò nonostante pretendo e te lo ripeto - pretendo - che ti faccia sentire tutti i giorni. Voglio esser sicuro che tu stia bene, chiaro?"
"Sì, mi sembra giusto."  Acconsentì il più piccolo, mentre un lieve sorriso grato gli si allargava sul viso. Il primo da giorni interi. "Cosa dirai a papà?"
"Oooh, beh di quello non ti preoccupare, Artie."  Rispose Michael dall'altro lato, con un tono così divertito che fece tremare le spalle del fratellino, lasciandogli immaginare il ghigno sornione dell'altro. "Sei sempre stato una cazzo di ragazzetta con la salute debole."
"Non è vero! E non mi chiamare Artie"
"Oh sì che lo sei, piccoletto."  Lo prese in giro il maggiore, prima di tornare ad assumere un tono più serio "Non fare cazzate e fatti sentire, altrimenti giuro che scovo dove ti sei rintanato e ti rispedisco a casa a calci in culo. Sono stato chiaro?"
"Sì, ragazzone, sì. Ci sentiamo, Michael."

"Lo spero bene per te."
"Stammi bene anche tu...e grazie" 

Un mugugnio scocciato e incomprensibile mise fine alla chiamata, lasciando il mutante a rigirarsi il cellulare tra le mani. L'espressione sul viso era ancora pensierosa, ma una piccola nota di contezza gli si era piazzata tra le corde dell'anima.
Non era ancora il momento giusto per accettare se stessi, né per dirlo agli altri sperando che lo facciano al posto suo. Non ancora.

Aveva guadagnato altre due settimane di riflessione per decidere decidere cosa fare di se stesso. Se accettarsi mutante oppure nascondere per tutta la vita chi è veramente.
Incosciamente però sapeva di avere, in un modo o nell'altro, un fratello al proprio fianco.

Arthur & Michael Blake